Processo a Oreste

testi

eschilo
pasolini

musiche

originali suonate dal vivo dai
wetonton didjeridoo ensemble

regia adattamento e musiche

claudio ottavi fabbrianesi

Attori

mattia tedone

raimondo livolsi

federica valenti

giovanni licari

cristina leone

arianna lodato

elisa caponi

alessia tucci

e gli allievi de il piccolo teatro d'arte

coreografie

gabriella ottavi fabbrianesi

costumi

agostino porchietto

luci

stefano turino

scene

valerio fontanella

Il testo

Tratto dalla tragedia di Eschilo e dal Pilade di Pasolini, lo spettacolo affronta il tema del rapporto delle nuove generazioni con il Passato. Nel farlo percorre un itinerario rituale, che guida lo spettatore attraverso le fasi e le motivazioni antropologiche che portarono, secondo Nietzsche e i filologi moderni, alla nascita del teatro greco. Attraverso un gioco di rappresentazione nella rappresentazione il Teatro diventa, per i giovani attori, uno strumento di testimonianza e di evocazioni, in grado di “esorcizzare” gli istinti ancestrali e le pressioni inconsce indotte dalle aspettative dei padri.

Nata per celebrare la nascita del primo tribunale ad Atene, la trilogia di Eschilo individua nella nuova istituzione il segno contraddistintivo di un passaggio di pensiero che contrappone a un concetto di universo statico dominato dal mito, quello di un modno dinamico attraverso la ragione. Questo passaggio assume nella tragedia la forma di un conflitto di divinità, dove Atena ed Apollo (“i più giovani degli dei”) si contrappongono alle Erinni (“le dee del passato”, nell’impostazione pasoliniana) nel valutare le vicende di Oreste. La trasfigurazione delle Erinni in Eumenidi, nella terza parte della tragedia, sarà quindi indice dell’affermarsi della posizione delle nuove generazioni e del loro nuovo modo di relazionarsi con il passato – non più oscuro e soggettivo ma razionale e oggettivato. 

Note di regia

Il lavoro teatrale nasce da una ricerca sul territorio di confine tra le tecniche sull’attore delineate dalle principali scuole del ‘900 e i meccanismi rituali che caratterizzarono la nascita della tragedia. L’ obiettivo è quello di far coesistere sulla scena i due piani ontologici dell’attore e del personaggio, che resi espliciti nella nuova stesura drammaturgica, saranno in grado di fondersi in un rito spettacolo che coinvolge entrambi. L’altro confine, oggetto della nostra ricerca, è quello tra teatro e musica, dove la tragedia classica offre nuovi spunti. Tale indagine ha trovato ampio spazio di realizzazione nella creazione e esecuzione in scena di musiche “tribali” ad opera degli stessi attori guidati dal Wetonton Didjeridoo Ensemble.